Trinciare il cibo è un’arte: questo è la base su cui poggia “Il trinciatore“, libro scritto da Vincenzo Cervio, servitore personale del cardinal Farnese, importante uomo di potere veneziano del Cinquecento.
Siamo in epoca Rinascimentale, quando ogni attività umana poteva ambire a raggiungere dignità di arte. Ivi compreso il “trinciare”.
A detta del Cervio, per fare quel lavoro servivano classe, buone capacità sociali, ma soprattutto know-how.
Al trinciatore era richiesto di avere un certo portamento, a postura eretta e fiera; e di maneggiare gli arnesi del mestiere con particolare cura e maestrìa. Il tutto accompagnato da movimenti e frasi rituali, come in una cerimonia.
Ma, soprattutto, aveva il compito di tagliare magistralmente ciò che doveva servire: frutta, pesce, manzo, pollame, verdura o che altro. Ad ogni piatto il suo taglio: verticale, orizzontale, a spicchi, a rosa, eccetera eccetera…
Perché sì, il gusto è importante, ma anche l’aspetto è fondamentale. Soprattutto durante il Rinascimento.