Chi ha voglia di un cocktail?
E chi vuol sapere da dove viene il nome cocktail?
Domanda non facile questa… essendoci diverse teorie in merito!
Chi dice che si tratta dell’usanza in voga nell’era coloniale tra i locandieri americani, di mescolare gli avanzi di alcolici (tails) in una botte, per poi vendere l’intruglio a basso prezzo (cock, per quanto strano possa sembrare, era il nome gergale del rubinetto della botte).
O forse il proprietario di una drogheria in Louisiana, che mescolava superalcolici, acqua e bitters per poi servire la miscela in un portauovo, che in francese si chiama coqueterie: nome che la gente del Sud, con il loro particolare accento, ha modificato nel tempo in Cocktail.
Nel XIX secolo i viaggiatori inglesi negli Stati Uniti restavano inorriditi a vedere il modo in cui i loro cugini d’oltreoceano mescolavano del buon gin con altre bevande ai loro occhi meno “nobili”. Chiamavano (con disprezzo) detti esperimenti con lo stesso nome che veniva dato alle donne di facili costumi, cocktails.
Per ultimo, David Wondrich, storico appassionato dell’argomento, ci fornisce la sua versione, che non si può dire certo molto romantica.
Il termine, secondo Wondrich, deriva dall’abitudine dei commercianti di cavalli di mettere dello zenzero (o pepe) all’interno dell’orifizio rettale del cavallo, in modo che questo alzasse (cock, appunto) la coda (tail) dell’animale, facendolo sembrare più … vivace!
Ad ogni buon conto, ho preferito mettere come immagine una foto della cocktail station realizzata da Inox Bim. Il che è molto più appropriato di qualsiasi immagine di cavalli con del pepe nell’ano.